Un passo lontano da me

Non sono mai riuscita a commuovermi per il primo giorno di asilo o di scuola.
C'è un certo fermento intorno a questi eventi, ma non malinconia, né dispiacere, piuttosto la speranza di un certo sollievo.
Posso passare per una di quelle che dicono di non vedere l'ora che i figli lascino il nido, proprio per nascondere la pena di dover aprire la finestra. Sembro una un po' spaccona, che fa figli per hobby, nonostante siano una gran seccatura, pertanto la finestra è spalancata da parecchio, peccato che nessuno accenni a volare.
Mi guardo intorno, in questi giorni di approccio, di novità e nuovi inizi. Ci sono genitori di ogni tipo...
Quelli silenziosi, un po' a parte, in tenera simbiosi coi figli che scendono dalle ginocchia per prendere per mano mamma e papà e non lasciarli comunque.
Ci sono quelli rumorosi, che se non aprono bocca per decantare le lodi dei figli, principi di casa, allora provvedono a riempire loro il tempo di qualunque cosa, strozzando le loro azioni e azzerando i loro pensieri.
Ci sono quelli ansiosi, che devono lasciare il pargoletto, ma non vogliono... così stanno lì, davanti alla porta a vedere il figlio piangere. Dentro godono perché si sentono il centro del mondo del loro bambino e certamente lo sono. Però devono fare i duri e sgridarli. "Ti tolgo il gioco!", "Devi restare!", mentre stanno eretti, trafelati e tutto di loro dice: "Non restare! Non abbandonarmi!" 
Ore di trattativa, per uscire seccati e compiaciuti col figlio esausto sotto il braccio come una baguette. Ci riproveranno l'indomani, per l'immensa gioia dell'insegnante e di noi spettatori.
Ci sono quelli sorridenti, in osservazione, anche loro spaesati come i figli, calati in un ambiente nuovo, insieme ad estranei che saranno forzatamente coloro coi quali avranno a che fare per i prossimi anni.
Poi ci sono quelli assenti. Loro depongono il pacco e hanno fretta di andare. Per necessità il più delle volte, loro malgrado. 
Infine ci sono quelli in squadra. Viaggiano sempre con qualcun altro al seguito, come se non fossero capaci di camminare da soli. Quasi sempre sono i nonni, che stanno dietro e fanno fatica a sentire, quindi bisogna ripetere. Salutano in coro, poi non sono certi che il bambino abbia sentito, così sgomitano fra loro e salutano in coro... di nuovo. 
Io mi commuovo guardando i miei figli, ma non nelle loro prime volte. Quelle portano la necessità di fare attenzione, di percepire le nuove regole, di inquadrare l'ambiente e la situazione. Sono un lavoro per me e per i miei figli che più di me devono trovare il loro modo di adeguarsi al nuovo.
In quei giorni ho solo voglia di andarmene. Di non fare i conti col caos, con le regole che a fatica si tenta di rispettare perché è ancora tutto in divenire. Questi adulti, noi adulti, che facciamo confusione e distraiamo i piccoli dalle loro relazioni, dal loro bisogno di misurarsi con ciò che sarà: quel luogo senza di noi.
Io lì non c'entro nulla e non devo c'entrarci nulla, mentre quello sarà il loro mondo fuori da casa. Una realtà con cui devono prendere le misure, cimentarsi col distacco e la mia assenza.
Non ho mai patito l'allontanamento da loro, non nelle tappe della loro necessaria socializzazione col mondo esterno. Il loro tempo in società è il ritrovato tempo per me. Ecco il sollievo!
Mi commuovo invece quando i cicli si concludono: alla recita di fine anno solitamente. Di più se è anche la recita al termine di un percorso scolastico che decreta l'accesso al grado superiore.
Mi commuovo perché sono cresciuti. Ogni volta penso che mi siano scappati dalle mani! 
Mi commuovo perché avanzano e io li vedo trasformarsi a poco a poco in ciò che saranno. 
Ho dato loro qualche riferimento, ho aperto la finestra e li ho accompagnati fino al davanzale.
Hanno sostato lì, guardandosi intorno, poi hanno preso il volo per la prima volta. 
Non mi sono mossa da quella finestra, li ho seguiti con lo sguardo girare nel cielo e ho aspettato. Loro sono tornati portando pezzetti di esperienza, di occhiate sul mondo, di altri modi di fare le stesse cose... Si lanciano dal davanzale ogni mattina e rincasano ogni sera. Io sto sempre là.
Loro sono certi di trovarmi, per questo partono sereni. Io sono certa che torneranno, per questo li lascio andare serena.
Quando realizzo che i loro viaggi saranno sempre più lunghi e appassionanti, allora sento la nostalgia di loro piccini e di me... più giovane!

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